Vera armonia
una Via così difficile da comprendere
eppure semplice
come il naturale fluire del cielo
Morihei Ueshiba (fondatore dell’Aikido)
Vera armonia
una Via così difficile da comprendere
eppure semplice
come il naturale fluire del cielo
Morihei Ueshiba (fondatore dell’Aikido)
Una opportunità per sperimentare gratuitamente le attività di Asia a Bologna.
http://www.asia.it/adon.pl?act=doc&doc=1867
Sabato 15 Settembre alle 15,30 primo incontro del secondo anno del corso per l’insegnamento dello yoga per la gravidanza, parto e dopo parto. Il tema sarà l’uso del suono durante la respirazione. Buon ritorno a chi ha partecipato al primo anno!
Martedì 3 aprile 2012 sono stata ospite della trasmissione Geo&geo, su Rai 3. Ecco il video:
Vi segnalo il nome dell’ostetrica che mi ha permesso di vivere
l’esperienza fantastica della nascita dolce di Giulio avvenuta tra le
mura domestiche di quello che io e il mio compagno abbiamo scelto come
nido per far nascere e crescere la nostra famiglia…ricordi
bellissimi di momenti indimenticabili che augurerei a tutte le donne e
ai loro compagni, ma soprattutto ai nuovi venuti, di vivere!
Il tutto grazie a Paola Chini che risiede in provincia di Bologna il
cui cellulare è 3487046528, e collabora col centro Asia dove organizza
anche corsi preparto, massaggio del neonato, svezzamento.
Ma non sarei stata in grado di affrontare il tutto con quella
serenità, fiducia in me stessa e nelle mie capacità, con l’ascolto di
me e del mio piccolo, se non avessi frequentato il corso/percorso di
yoga in gravidanza del centro ASIA che si trova centro a Bologna in
via Riva Reno 128 tel.051.225588 http://www.asia.it/ e alle parole e
preparazione emotiva oltre che fisica delle due Maestre Beatrice
Benfenati e Letizia Magenti. Questo percorso lo consiglierei a tutte
le donne al di là del luogo in cui si preferirebbe partorire (è qui
che ho conosciuto Paola)
Consiglio inoltre vivamente la lettura del libro di Beatrice Benfenati
“Dall’epidurale alla meditazione” Ed. Eugea.
DONNE RIAPPROPRIAMOCI DEL NOSTRO CORPO E DELLE NOSTRE CAPACITA’ DI
VIVERE UN EVENTO UNICO NELLA NOSTRA VITA.
Grazie,
Monica Daniele da Bologna
Domani 3 aprile parteciperò alla trasmissione di Rai Tre Geo&geo sul tema del parto naturale.
Domenica 1 Aprile ore 10-12,30 e 15,30-18,00
Programma:
L’ascolto e il rispetto del respiro involontario, dopo aver preso coscienza degli ostacoli fisiologici e mentali
che lo disturbano, crea le condizioni per un raccoglimento che porta la donna a cogliere in se stessa un
centro inattaccabile. Non un luogo in cui credere, ma un’esperienza che ha il sapore dell’indubitabilità, della certezza. Un luogo al quale potrà ritornare sempre, che sarà ciò che potrà sostenerla soprattutto quando il parto non si svolge come lei avrebbe desiderato.
A chi si rivolge:
Alle donne in gravidanza, agli insegnanti di yoga, agli operatori nel campo della nascita.
Obiettivi: riportare l’evento della nascita al suo valore di esperienza iniziatica, rievocandone la sacralità.
Iscrizioni:
Telefonare cell. 328.2115946 (Eugenia) o inviare una mail info@associazioneilmondo.it e versare la quota
passando direttamente presso il centro o a mezzo bonifico bancario IBAN IT45V0316501600000110466801
intestato a ASSOCIAZIONE CULTURALE IL MONDO indicando nella causale – GRAVIDANZA – (portate
con voi la ricevuta bancaria). Il seminario si terrà con un minimo di 10 iscritti.
QUOTA SOCI: € 60, € 15 tessera socio – TERMINE ISCRIZIONI 20 marzo.
SEDE DEL SEMINARIO: Il Mondo YogaStudio, Strada Mezzo Moletolo, 17A Parma
Chiara come il cristallo,
acuta e splendente,
la spada sacra
non ammette spazio
per ospitare il male.
Morihei Ueshiba (fondatore dell’Aikido)
3° parte
Domande dal pubblico
Domanda: il rapporto che i nostri bambini hanno con il mistero, è più sereno del nostro?
Beatrice: Al bimbo la strega spaventosa, che non vede e che si immagina, raccontata dal genitore in un ambiente protetto, piace un sacco. Il mistero gli piace anche quando fa paura. In certi casi, quando ti chiedono di raccontare per l’ennesima volta la stessa storia, aspettano la parte più inquietante; se ad esempio una volta addolcisci un po’ il finale, ti dicono che non è vero, che succedeva quella cosa terribile. Il bimbo è nutrito dal mistero. Noi siamo mistero, siamo misteriosi a noi stessi. E non c’è risposta al mistero, per questo è un mistero. Ma non è terribile, è magico, miracoloso, stupefacente: noi siamo mistero, non sappiamo perché esistiamo e non può esserci risposta a questo. A una mia figlia una volta, non so perché, la domanda esistenziale è venuta da un bicchiere di latte: “Mamma da dove è arrivato il primo bicchiere di latte ?”.
Io l’ho guardata: “Te la dico una cosa?… ma sai che nessuno lo sa?! “.
“Nessuno lo sa!”… Era la gioia in persona! Si sentiva portatrice di qualcosa, aveva scoperto una cosa che nessuno sapeva, era felicissima.
E questo deve fare l’educatore: quando viene fuori il mistero, accoglierlo e rilanciarlo. Si può rovinare tutto, magari cercando di rispondere “perché la mucca …”. E loro giustamente dicono: “… ma allora la mucca da dove è arrivata?”. Davvero non lo sappiamo e questo non è terribile, anzi è stupefacente..
DOMANDA: i giorni dopo la nascita sono così importanti? Credevo soprattutto fosse importante non disturbare il bambino nel momento del parto, secondo l’insegnamento di Leboyer.
Beatrice: anche nei giorni successivi al parto il bambino è stupore, contemplazione. Quando è sveglio ha questo sguardo… Non è ancora del tutto nato: non è più un feto dentro alla pancia, ma non è ancora un bambino. Quei momenti vanno rispettati: poche parole, pochi gesti, solo quelli indispensabili. E guardatelo! Un neonato si guarda così volentieri, per ore. Poi ti dici: “Come è possibile?”, più che felicità è stupore. Se ci pensi bene, la felicità viene più avanti.
I primi giorni, se ti ricordi bene, non è neanche tuo figlio. Diventerà tuo figlio. I primi giorni lo guardi come a chiederti “Cos’è?” “Chi è?”.
Anche a questo fatto mamme e i papà vanno educati: può succedere che i primi giorni i piccoli siano visti come estranei, sconosciuti. Si fa fatica a toccarli e ci si dice che è perché abbiamo paura di far loro male, ma non è vero. Si fa fatica a toccarli perché sono sconosciuti. Non è tuo figlio. Lo diventerà pian piano, giorno dopo giorno, facendo delle cose insieme.
Ma lì è uno sconosciuto, è il mistero incarnato e quel mistero va rispettato. Il bimbo in quel momento ha bisogno veramente di poco, come insegnano le popolazioni che noi consideriamo “primitive” e che in realtà sanno ben più di noi: in quella fase spesso i genitori non possono essere avvicinati, addirittura abitano in una capanna isolata e non vanno toccati. Per 40 giorni vanno lasciati tranquilli e la donna non deve fare niente altro che occuparsi del bambino, altri cucinano per lei e la accudiscono. È molto sapiente questo, e noi li chiamiamo primitivi! È un momento di rispetto, non perché la donna stia male, ma perché ha bisogno di chiedersi cosa è successo, di prepararsi ad affrontare l’avventura della maternità per la quale deve, prima di tutto, educare se stessa.
DOMANDA: come possiamo fare per ripristinare questa situazione? Creare un gruppo?
Beatrice: dirlo, parlarne, far leggere, soprattutto a persone che aspettano un bambino. Incoraggiarle in questa cosa. Anche se è difficilissimo!…per questo ho chiesto un consiglio.
Domanda: Alessandra Ielli, la nostra insegnante di yoga in gravidanza ad Asia Modena, dice che abbiamo fatto un bel gruppo e siamo riuscite a partorire in una maniera dignitosa per una donna. A volte incontriamo donne che vogliono fare l’epidurale e proviamo a farle ragionare, ma rispondono: “ho già sofferto abbastanza”, ” ho la sciatica”, ” ho questo e quello”. Non vogliono soffrire. Così noi passiamo per le fanatiche che vogliono le cose naturali a tutti i costi. Ma io sono contenta del parto che ho avuto, l’ho cercato e sinceramente sono contenta. Ma si può proporre a tutti?
Beatrice: a Leboyer, quando è venuto ad Asia Bologna, qualcuno ha fatto una domanda simile. Lui ha detto che questo modo di affrontare gravidanza e parto non è per tutti. È vero, ma comunque questa possibilità va data, va proposta, testimoniata come state facendo voi, senza fanatismi, più che dirlo e testimoniarlo non si può fare. Come ho detto, un bambino nasce già antico e quindi ci sono storie che noi non conosciamo. Non sappiamo perché qualcuno è pronto e qualcun altro no. Però quanto meno testimoniare, questo possiamo farlo.
È al di là delle scelte il sentire di cui parlo; si presenta anche in caso di travaglio o parto disturbato. Quel sentire viene fuori sempre: non è perché una donna ha fatto l’epidurale, perché ha fatto l’episiotomia, che non si sentirà quel sapore di sconosciutezza addosso.
DOMANDA: durante il mio parto in ospedale avevo 13 medici tirocinanti che mi facevano domande sulle contrazioni e sul dolore delle doglie: “Quanto è intenso, da 1 a 10?”. E io ho detto, ma proprio con tanta serenità: “10”. e l’ho guardata come per dire “Secondo te… tu cosa proveresti al mio posto?”. Ma era una ragazza… puoi testimoniare, ma forse non bisogna traumatizzare queste persone, perché saranno i medici di domani
Beatrice: no, però non dovrebbe proprio accadere di avere intorno tredici medici tirocinanti in un momento come quello!
DOMANDA: ho partorito a gattoni perché non volevo vedere niente. Mi sono girata e mi sono immaginata di essere da sola chiusa in un uovo. Ho partorito benissimo e dietro di me c’era il mondo. Il medico chiamava i tirocinanti a vedere questo strano parto e questo è stato il lato un po’ comico. Dentro di me dicevo: venite pure, non c’è problema, tanto io sono chiusa nel mio uovo.
Beatrice: tu hai avuto sicuramente una preparazione tua, e una bravissima maestra, perché per fare questo ci vuole veramente una grande determinazione. Ma quello che mi viene da dire è che queste cose non devono succedere! Come è possibile? Questo io mi chiedo. Il mio è più uno stupore che una domanda, ma uno stupore di altro genere, non per il mistero ma per lo stato delle cose.
DOMANDA: adesso è di moda osservare tutto, entrare dentro tutto. Perché sembra che niente possa più sorprenderci.
Beatrice: o forse perché temiamo la sorpresa. Ma ci sono certe sorprese che non possiamo evitare. Noi crediamo di fortificarci con tutti questi controlli, ma questo ci rende più fragili. Non sappiamo più accettare un imprevisto, non sappiamo più neanche pensare che le cose potrebbero andare in un altro modo, non ci concediamo neanche il pensiero. Ma questa è una fragilità immensa e se educheremo i nostri figli a questo, sarà una catastrofe. Stiamo sfornando generazioni sempre più fragili, incapaci di sopportare l’imprevisto.
DOMANDA: ho avuto un parto difficile, mia figlia è stata a lungo in incubatrice. Secondo lei, l’esperienza negativa alla nascita può rendere difficile la vita?
Beatrice: non è detto. I bimbi nascono antichi, il parto e la nascita sono dei momenti importantissimi sicuramente, ma io penso che ci siano stati altri momenti importanti anche prima e che ce ne saranno altri dopo. Ogni bimbo reagisce in un modo diverso. Ad esempio, un bimbo che ha avuto una nascita più difficile è un bimbo che potrà avere, un domani, più domande di un altro proprio perché questo sentire gli è rimasto stampato dentro; allora sta a te preparati molto bene a sostenere tua figlia nel suo domandare, che come abbiamo visto nell’adolescente può prendere la forma della rabbia, della sfida. Non conosco tua figlia, magari questa cosa la supera da sola, ma tu puoi preparare te stessa a sostenerla e a non crearle altri momenti difficili, non pensando solo quello che è già stato, ma a cosa puoi fare adesso per lei. Il miglior aiuto che potete dare ai vostri figli è preparare voi stessi. In Oriente si dice: “Se veramente vuoi aiutare qualcuno, illuminati!”. Cioè risvegliati al mistero che sei, completamente. A quel punto sai come aiutare un altro, saprai accompagnarlo se è un problema risolvibile, e se è irrisolvibile saprai comunque stargli vicino.
Una volta vidi una delle mie figlie chinata su una farfallina che stava morendo. Le chiesi: “Cosa fai? Sta morendo?”. E lei: ” Sì, sì anch’io penso che stia morendo”. “E cosa fai? “. “Le facccio compagnia”.
Ed è stata lì con lei fino a che è morta e anche dopo. Io questa cosa non gliel’ho mai insegnata, ma lei sentiva che era importante fare compagnia a qualcuno. Non c’era soluzione al problema della morte – a volte possiamo risolvere, a volte no – ma se non posso risolvere il tuo problema sto qui e ti faccio compagnia, sto qui con te. Non piangeva perché la farfalla stava morendo, non era triste, era lì a farle compagnia, la guardava e questa è la cosa più importante secondo me.
Cosa posso fare per mio figlio? Risvegliarmi è la cosa più importante. Allora in quei momenti se sarà risolvibile, bene, se no ti faccio compagnia. Questa è la Via.
DOMANDA: quindi il trauma della nascita di cui parla la psicanalisi non è un evento così scontato? Possiamo avere un parto “dolce”?
Beatrice: non so in psicanalisi cosa si intenda profondamente per trauma della nascita. La nascita è sempre un evento grosso, per il bambino è una trasformazione totale: lui si trova ad un tratto a fare una cosa completamente diversa da quello che ha fatto in quei nove mesi. Stava lì bello accoccolato a giocherellare e d’un tratto si trova con questo utero che lo spinge e non sa perché. E si ritrova lui stesso a spingere e a fare qualcosa, ma non sa dove sta andando, non sa cosa gli stia succedendo. Non è sicuramente una cosa banale, deve fare le mosse giuste. La nascita “dolce”, intesa come un bambino che esce senza accorgersene, non esiste. Sarà sicuramente segnato, ma non è detto che sia segnato in modo negativo.
Leboyer lo scrive, e io l’ho visto con i miei figli: i bambini nascendo non piangono, non hanno motivo per piangere. Possono fare qualche versetto, ma il pianto è solo perché noi li disturbiamo tagliando, per esempio, subito il cordone ombelicale… Il cordone ombelicale non va tagliato: continua a rilasciare ossigeno attraverso il sangue finchè il bimbo non inizia a respirare da solo, lo sta tutelando; la cosa stupefacente è che il cordone smette di pulsare proprio quando il bambino inizia a respirare, come dicesse: “non c’è più bisogno di me!”. Da quel momento si può tagliare. Invece noi reagiamo alla intensità, alla emozione della nascita, tagliandolo subito. E il bimbo piange perché è costretto a respirare coi polmoni – cosa che non ha mai fatto prima – con tutti i rischi che questo comporta se qualcosa non va subito bene… Lasciando il cordone intatto invece il bambino passa dolcemente dal respiro attraverso il cordone al respiro polmonare, senza pericoli. È un mistero molto sapiente! Inoltre si è visto che, lasciato da solo vicino alla mamma, il piccolo appena nato pian piano si sposta e va al seno della mamma. Il bambino sa cercare il seno e fa esattamente la cosa più importante, che serve a lui e serve alla donna: serve a lui perché deve imparare a mangiare e quello è il momento dove ha il riflesso di suzione più forte. Serve alla donna perché succhiando il capezzolo, la placenta esce con molta più facilità. È saggia questa cosa! Non l’ha fatta nessuno questa cosa, ed è così sapiente!
Per lasciare che questa sapienza si dispieghi bisogna che prepariamo noi stessi a sostenere la situazione. E non solo noi, ma anche chi opera nel campo della nascita. Come genitori possiamo sapere tutto – come non va disturbato un bambino, che non va tagliato il cordone, che non va staccato dalla mamma – ma poi arrivano gli operatori e “zac!”, tagliano. Certi operatori mi hanno sinceramente detto: “Non so perché l’ho fatto, ma non ce l’ho fatta a non farlo!”. Perché non ce l’hanno fatta? Perché è difficile stare in quella situazione, perché non ci si abitua a una nascita, non ci si abitua al mistero! Si deve fare qualcosa di conosciuto anche se non serve… E quindi vanno preparati anche gli operatori.
Domanda (uomo): è molto interessante quello che dicevi nel dialogo con tua figlia che ti chiedeva “Da dove viene il primo bicchiere di latte?”.
A volte si dice che la morte la viviamo non solo in quell’unico momento alla fine della vita ma in tanti momenti, in tante “piccole morti”: nei momenti di perdita, di mancanza, di fine di una relazione. La morte ha una sua dimensione “quotidiana” che ci coinvolge molto.
Forse anche ognuna di quelle domande – di tua figlia, dei bambini e degli adulti – ognuno dei momenti di stupore che ci capita di vivere sono come “piccole nascite”? Se vedessimo quei momenti come qualcosa che si staglia e che ti include, e ti fa dire “cos’è?”… forse in quel modo l’evento “nascita” ci riguarderebbe da vicino? Anche se non siamo mamme.
Beatrice: assolutamente sì! Anche chi non ha mai avuto un figlio vive costantemente delle “nascite”: stupori, meraviglie. E si ritrova in quel momento come il neonato, con quello stesso sguardo. Per questo suggerisco spesso di guardare in silenzio il neonato. Quando le mamme dopo il parto mi dicono che vorrebbero venire a praticare Yoga ma sono troppo impegnate con il bimbo, dico loro: “Quando puoi vieni a praticare, ma intanto fa quello che fa lui. È lì sdraiato? Sdraiati anche tu e comincia a guardare con quello sguardo, così”.
Un neonato guarda le cose, ma non le sa nominare. Non sa che questo è un bicchiere, che contiene acqua, ma con questo non vuol dire che non lo veda. Solo non lo riconosce; riconoscere e vedere sono due cose diverse. Il neonato vede, ma non “riconosce” gli oggetti in quanto oggetti, non li sa nominare. Se provaste a guardare le cose senza dare subito loro un nome, così come farebbe il neonato, vi verrebbe da dire: “Non so cos’è questa cosa!”. Le guardate, e in quel momento la state veramente vedendo, proprio quando non riconoscete più una ‘cosa’ la state vedendo nel suo mistero sapiente! Quella cosa non so cos’è, ma so che c’è! Quelli sono i momenti importanti, sì è la nostra “nascita di nuovo”, assolutamente!
DOMANDA: un filosofo tedesco, Steinthal, scrisse che gli animali hanno memoria ma non hanno alcun ricordo. Per i bambini è lo stesso?
Beatrice: penso di sì! Interessante: cos’è una memoria senza ricordo? Cos’è un guardare senza riconoscere? Queste sono proprio le domande che fanno i bambini! “Mamma, com’è quella stanza quando non ci sono dentro e non la vedo?”
Com’è? Rispondete! Bella domanda, eh? “Com’è questa stanza quando nessuno la guarda?”. Sono domande che arrivano così, a bruciapelo.
Uno dei miei figli una volta sfrecciando per casa ha visto una videocassetta e ha chiesto “Mamma, perché c’è questa videocassetta?”. Allora ho chiesto: “Perché ci sei, tu?”. Risposta: “Ah!…se non ci sono io non c’è niente!”. Poi è ri-sfrecciato via!
Bisogna essere pronti a queste domande. In quella occasione ho imparato io, perché l’educazione non va in una sola direzione: potete insegnare, testimoniare e nel contempo imparare! Non fatevi sfuggire quando questi piccoli maestri insegnano: “Se non ci sono io non c’è niente!”. Dopo ho provato a chiedere: “Te l’ha detta papà, eh, questa cosa?”. Risposta: “No, io lo so!” .
Un’altra volta ha telefonato a casa nostra il nostro amico Giorgio e ha risposto la piu’ piccola al telefono. “Ciao, sono Giorgio”. E lei “Perché sei Giorgio?”. Provate a rispondere! Sono domande bellissime. Aiutatemi a fare in modo che queste “nascite” non vengano rovinate, che siano rispettate!
DOMANDA: mio figlio, quando non aveva ancora tre anni , mi ha chiesto: “Perché quella volta che ero sulla nuvoletta, ti ho scelto?” e io ci sono rimasta secca. Poi l’ho lasciato raccontare, però ha detto una cosa profondissima.
Beatrice: giusto, bisogna lasciarli parlare, non aver fretta di rispondere. Non vogliono risposte, vogliono celebrare il mistero con voi! Però tutto ciò è difficile da sostenere, sono momenti intensi: pensate alla persona che si sente chiedere: “perché sei Giorgio?”.
Bene, se avete delle idee Alessandra è a disposizione per raccogliere tutti i vostri suggerimenti. Asia Modena è a disposizione per accogliervi nella Via, perché qui ce ne sono veramente diverse. Ricordatevi che intraprendere una Via è il regalo più grande che potete fare a chiunque nasca. Grazie a tutti!
Trascrizione: Valentina Boni, Roberta Cappi, Claudia Vignudini. Redazione: Roberto Ferrari.
2° Parte
Il parto, il dopo-parto e la Via
Il parto: il sentire come valore da sostenere e non da sedare
Secondo me nel sentire che emerge durante il parto, anche se non è piacevole, c’è un immenso valore. Ci stiamo preparando alla responsabilità di mettere al mondo un bambino, non è uno scherzo. Non per i problemi economici o di tempo, che sono reali ma in fondo secondari. E’ una grossa responsabilità perché quel bambino andrà educato. Di questa responsabilità vedo purtroppo che ci si fa sempre meno carico: ci si dimentica che quel bambino non ha solo bisogno di soldi, di tempo e attenzioni, di futuro; ha bisogno di essere educato a qualcosa, a un valore. E ve lo chiederà. Non subito, ma ve lo chiederà. Vi ricordate quando avevate tredici, quattordici, quindici anni? Arrivano le crisi, mamma e papà non sono più perfetti, quello che dicono non è più oro colato a cui il bimbo crede e che assimila. Arriva l’adolescenza cominciano i dubbi, e comincia di nuovo quel sentire.
Cos’è un adolescente? Non è più un bambino, non è ancora un adulto. E’ in quella fase, come la donna nei primi mesi di gravidanza, dove non è più quello di prima e non è ancora diventato qualcos’altro. Di nuovo viene fuori quel sapore. Magari come contestazione, rabbia. Le domande vengono fuori in forma di sfide. Non è che vi sfidano perché vi odiano, vi sfidano perché in fondo vi stanno chiedendo: ma tu l’hai risolto quel problema che io sto sentendo? Mi capisci quando io sto male?
Con gli adolescenti è inutile dire: “Figlio mio, hai tutto, perché stai male?”. Più hanno tutto e più stanno male, proprio perchè ancora maggiormente viene fuori che non basta. Conoscete la storia del Buddha: si narra che vivesse in un palazzo regale, aveva una moglie bellissima, gli era appena nato anche un bambino, aveva proprio tutto, un futuro da re. Ma sentiva questo sapore e si chiedeva cosa fosse. Buddha ha avuto la fortuna di essere nato in una cultura che sosteneva quella domanda. Noi, quando vengono crisi di questo genere agli adolescenti e non sappiamo più cosa fare, diamo loro delle pillole per calmarli. Questo è terribile, gravissimo. I momenti più importanti della nostra vita, noi li sediamo.
Ecco che arriviamo quindi all’epidurale. “Dall’epidurale alla meditazione“, il titolo del mio libro, non è stato scelto a caso. Vorrei innanzitutto chiarire che non sono a priori contraria all’epidurale, l’analgesia che permette – si dice – di soffrire meno nel travaglio e nel parto. “Si dice” perché in realtà, proprio alcune ostetriche che lavorano in ospedale mi hanno detto che non è vero che con l’epidurale non si senta nulla. È questo è un grosso problema perché, se si dice alle donne che attraverso quest’analgesia non sentiranno più nulla, queste si aspettano di non soffrire per niente. “Ma tenete presente – diceva un’ostetrica – che l’anestesia si fa a un certo punto del travaglio, e per alcune donne le prime fasi sono le peggiori”. Se una donna pensa che non sentirà alcun dolore, il rapporto con quel sentire della prima fase del travaglio sarà ancora più negativo.
Detto questo, ripeto, non sono a priori contraria all’epidurale: in certi casi, in certi travagli particolarmente difficili e dolorosi forse è importante averla a disposizione.
Il dolore del parto: non suscitare la sfiducia
Quello che mi fa soffrire tantissimo – e per questo ho dato questo titolo al libro – è vedere come sempre più donne oggi si preparano a partorire con l’epidurale ma non per loro scelta: se durante le visite ginecologiche alla donna viene chiesto: “Vuol sentire male o no? Vuole l’epidurale o no?”, se questo è l’unico criterio, è ridicolo pensare che possano scegliere. Questa è un’offesa per la donna, perché le stanno in realtà dicendo: non sarai in grado di sopportare quel male, quindi forse è meglio che tu faccia l’epidurale.
Una donna del mio corso di yoga in gravidanza quando è entrata in ospedale ha detto che non voleva l’epidurale, che era pronta a partorire. L’operatore che era presente ha detto: “Va bene, va bene, tanto fra un po’ la farà, tanto la fanno tutte, figuriamoci se lei non me la chiederà!”. Ecco io questa la ritengo veramente una frase sbagliata, non capiamo che effetto di sfiducia ha sulla donna. Quella donna era una persona di grossa forza d’animo e ha detto: “Bene, vedrai che ce la farò”. E ce l’ha fatta. Però non sono tutte così. Dicendo una cosa di questo genere, l’operatore rovina un momento che potrebbe essere uno dei più significativi della vita della donna. Le toglie il terreno sotto i piedi, le dice subito che non sarà in grado. Ma non e’ vero, noi siamo perfettamente preparate a partorire! Se c’è qualcosa di tutelato dalla natura è proprio la procreazione, che la specie continui, quindi figuratevi se non siamo preparate a partorire! Il problema è che spesso non abbiamo una condizione che ci permetta di partorire bene.
Partorire bene significa partorire nel “sacro”; significa che tutte le persone presenti sanno che in quel momento si sta celebrando un rito, che non è solo un evento medico. Anche se magari per motivi medici o per nostre scelte partoriamo in ospedale o con un cesareo – io ho sempre scelto di partorire a casa, però qualcuno può benissimo non sentirsela o non potere partorire a casa – la sacralità c’è sempre! Perché la sacralità non dipende da come sarà quella nascita, ma da quello che accade in quel momento: una nuova coscienza si apre sul mondo esterno, una donna diventa madre, un uomo diventa padre e incontra suo figlio. Nascono tante persone in quel momento: nasce un bambino, nasce una madre, nasce un padre. È un rito che si sta celebrando e che non va assolutamente sedato se non c’è una reale necessità. Se la donna è preparata e ha intrapreso una Via che le fa capire che in quel sentire c’è un valore, se il parto non viene disturbato, vi assicuro che ne vale la pena anche se quel sentire non è piacevole. Le contrazioni non sono piacevoli per niente, negarlo sarebbe un inganno. Ogni volta che incontro Frédérick Leboyer discutiamo su questo; lui dice che non si sente male a partorire. Gli dico: “Tu fai presto, sei un uomo, non hai partorito, certo, fai presto a dire che non si sente male, sono sicura che tu non senta male!”.
È un male però che ha un valore, è un male al quale noi siamo perfettamente preparate. Preciso che in realtà Leboyer differenzia il male della contrazione (meno intenso) dal male del crampo all’utero (molto doloroso), che si ha quando la donna è a disagio e resiste alle contrazioni, e in questo ha perfettamente ragione.
Va capito il significato di quel dolore nella contrazione. È l’unico modo che il corpo ha per guidare la donna, guidare il bambino alla nascita. Quel dolore troppo intenso non è un nemico, ma dice alla donna: “Guarda, quella posizione non va bene, cambiala, cercane un’altra spostati, girati, altrimenti il bimbo non nascerà”.
Il dopo-parto: saper stare con intensità emotive difficili
In Occidente pensiamo con l’anestesia di poter separare senza conseguenze la mente che rimane cosciente dal corpo che viene reso muto; questo non solo nel parto ma in tanti altri momenti. Ma un corpo che non può parlare avrà difficoltà a produrre, per esempio, le endorfine naturali, così importanti per mamma e bambino!
Si sente sempre più parlare della depressione post-partum, un senso di malinconia, di tristezza che prende frequentemente le donne dopo il parto. Di nuovo la affrontiamo sedandone i sintomi, rendiamo muto il corpo. Ma anche quel sentire ha un valore!
Ricordo benissimo una donna molto giovane che è venuta al corso di yoga in gravidanza. Nei nostri corsi ci continuiamo a vedere anche dopo il parto, e una volta vedendola scossa le chiesi cosa sentiva nel suo dopo-parto. Rispose: “Ho una sensazione stranissima: io sono in casa e tutto a un tratto le cose mi sembrano immobili. Tutte lì, sembra che non stia succedendo nulla, perde tutto di senso. Questi ritmi lenti ai quali mi costringe il bambino, questa immobilità forzata, sembrano dire che è tutto fermo, tutto per niente.”
Ed io: “Bellissimo! E’ una cosa stupenda! Pensa che il tuo bimbo è lì e si sta facendo le stesse domande. Però… perchè tu ti senti disperata e lui no? Che cosa vorresti adesso?” E lei :”Vorrei solo che questi momenti passassero”. Le ho detto: “Ma in questo momento, io e te stiamo parlando e ti senti bene, ti chiedo: qual è il sapore più vero? Quello che viene fuori in quei momenti di perdita di senso o quello della quotidianità, a cui vorresti tornare al più presto?”
Lei ha aspettato un po’, poi ha detto “Quei momenti di perdita di senso!”.
“Allora sappi che questa è una grossa possibilità: se tu scappi ora da quei momenti, in futuro, quando tuo figlio comincerà a chiederti tanti “perché” sulla vita, tu non saprai sopportarlo. Lo zittirai perchè con le sue domande ti farà venire fuori ancora quel sapore dal quale adesso fuggi. E quando sarà adolescente e ti chiederà ‘Perchè mi hai messo al mondo? Che senso ha tutto questo?’ Cosa gli risponderai? Che gli hai dato tutto? È una risposta questa? È ora il momento di stare con quel sapore e lavorarci sopra. Se ci lavori adesso è per te, ovviamente, ma anche per tuo figlio. E un Via per lavorarci sopra, qui c’è”.
Quel sapore non va sedato. Noi abbiamo l’idea che ciò che non è piacevole sia da togliere; soprattutto in momenti come la gravidanza, la nascita, il dopo parto, c’è questa idea assurda che ci debba essere solo felicità, solo serenità. Non è vero, ed è giusto che non sia così perché, se ci fosse solo serenità, significherebbe che siamo inconsapevoli della grandiosità dell’evento che stiamo vivendo.
Le “Vie” per la gravidanza e il parto
Occorre un Via per vivere questi “momenti magici” dove lo strato di scontatezza si dirada, che non sono naturalmente solo la gravidanza, il parto, il dopo-parto, ma tanti momenti nella vita. Intendo il termine “Via” nel senso orientale. Noi abbiamo un’idea del corso per la gravidanza, il corso dalle 17 alle 19, una o due volte alla settimana etc., ma la Via è un’ altra cosa. Si trasmette anche attraverso corsi, in appuntamenti precisi, ma soprattutto è una qualcosa che si pratica costantemente, anche nei momenti più banali e che ci trasforma, ci educa, ci prepara giorno per giorno a vivere, a crescere, a educare, ad affrontare momenti difficili e le domande che in essi nascono.
La Via che propongo è lo Yoga e la Meditazione, ma penso che ce ne siano tantissime altre. In realtà ho iniziato anche a proporre l’Aikido in gravidanza, soprattutto con pratiche che educhino a coordinare mente e corpo, a sviluppare il Ki, attraverso la spada giapponese per esempio, e ho visto dei risultati incredibili. Proprio l’ultimo mese sono arrivati due messaggi stupendi di donne, che hanno vissuto proprio quello che ripeto spesso ai corsi, che il valore c’è sempre anche quando le cose non vanno come vorremmo.
Queste donne hanno avuto entrambe il parto completamente stravolto rispetto alle loro aspettative: una pensava di partorire a casa, un’ altra di partorire nell’ acqua in un ospedale specializzato. Entrambe invece hanno avuto due cesarei, dopo ore e ore di travaglio. Ma tutte e due ne sono uscite con una gioia incredibile, perchè avevano una Via che le sosteneva. Una ha scritto: “In quei momenti difficili, ero centrata. Tutto è andato a rovescio rispetto alle aspettative, però ho tenuto il punto nel basso addome e devo dire che è stato importantissimo.”
E l’altra ha scritto: “Tutto quello che avevo pensato e temuto è accaduto, e, nonostante tutto, ero pervasa da una calma profonda. Mi sentivo invincibile, inattaccabile, come quando tenevo in mano la spada.”
Queste sono cose estremamente importanti. È per questo che spero che qualcuno di voi mi dia un po’ di consigli su come proseguire, perché stiamo pasticciando tutto. In questi momenti dove viene fuori la sapienza più profonda che abbiamo, noi sediamo le donne, facciamo loro credere di non essere capaci di farcela.
Non solo attraverso l’epidurale, ma anche con queste migliaia di esami che si prescrivono. Oggi ormai – è una cosa incredibile – una donna in tre mesi di gravidanza fa più esami di quelli che ho fatto io in tre gravidanze. Affidandosi agli esami la donna sente che sarà qualcun’altro che sa come vanno le cose, non certo lei, rinuncia ad ascoltarsi, non sa più sentirsi. Ma nel suo corpo c’è tutto, il corpo ha una sapienza immensa che parla tantissimo. Vorrei che ci fossero operatori che chiedessero alle donne come stanno. Invece la donna va dall’operatore, dal ginecologo e chiede a lui come sta lei. Ma vi sembra possibile? Devo chiedere ad un altro come sto io? Ma è impossibile! Certo, non voglio dire che certi esami non vadano fatti, ma con buon senso! Occorre anche una Via che ci riporti a quel sentire che ci abita e che abbiamo dimenticato, che ci porti a stare con noi stessi e ad avere fiducia in ciò che sentiamo.
Lo Yoga, l’ Aikido, la Meditazione sono tra queste Vie. A volte il sentire parla con sensazioni piacevoli, a volte no. Ma non pensiamo che quelle non piacevoli siano meno importanti! Dobbiamo imparare a fare come fa il neonato che è acceso, guarda, non piange, non ride. E’ stupito!
Allora il mio sogno è questo: che ci siano sempre più genitori che attraversano questi momenti – la gravidanza, il parto, il dopo-parto – sapendo della sacralità di quello che sta accadendo. Che nascano sempre più bambini rispettati, al di là di come andrà il parto; anche un cesareo può essere rispettoso!
Che ci siano sempre più operatori capaci di sostenere – prima di tutto in se stessi – questi momenti intensi in cui si dirada la scontatezza. E poi capaci di sostenere i genitori in questi stessi momenti.
Dopo la nascita: andare a trovare un bambino appena nato
C’è un’ultima cosa di cui vi vorrei parlare: sarebbe bello che anche i parenti e i conoscenti riconoscessero l’intensità che emerge in una nascita e sapessero rispettarla. Sto male quando vedo questi bimbi nati da poche ore, con venti, trenta persone addosso, tutti che li guardano! Ma vi rendete conto? Un neonato ha bisogno di mamma e di papà, basta. Per i primi giorni vanno lasciati in pace. Invece abbiamo questa idea che, nasce un bambino, e bisogna andarlo a vedere. Vederlo sì, ma tra qualche giorno, non subito! Lasciamoli in pace! Il neonato e i genitori hanno bisogno di silenzio, di stare con loro stessi, in quella situazione nuova. Non andate a trovare i bambini appena nati, vi prego, andate a trovarli dopo un po’!
Dopo qualche giorno magari la nuova famiglia comincia ad avere bisogno di aiuto, sarebbe quello il momento in cui andarli a trovare per dare una mano. E invece che succede? Il primo giorno tutti lì a guardare, poi non va più nessuno! Tutto a rovescio!
Perché? Sapere che è nato un bambino fa emergere quel sentire che ci coinvolge tutti, come ho detto all’inizio; anche chi non ha mai avuto figli e non li avrà sente qualcosa, e non capisce cosa sta sentendo. Lì uno dovrebbe sedersi e meditare: “Cosa sto sentendo? Perchè la nascita di un bambino mi fa sentire questa cosa?”.
E invece no, c’è un sentire intenso e confuso, non sappiamo perché ci sentiamo così, e per placarlo cosa facciamo? Andiamo a vedere il bambino! E ci diciamo: “Ah, ecco chi è!”. Poi gli diamo un nome, naturalmente dobbiamo capire a chi assomiglia… Sediamo il sapore di mistero, chi è?.
Ma quel bimbo ha bisogno di silenzio! E anche noi avremmo bisogno di attimi di silenzio in cui ascoltare ciò che sentiamo e chiederci: cosa vuol dire ‘nascere’? Chi, cosa nasce?
Allora quando venite a sapere di una nascita, anziché andare subito a fare visita, sedetevi e meditate. I genitori non saranno tristi, ve lo garantisco, se non arrivano venti persone a trovarli. Non farete loro dispiacere, non si sentiranno soli, perchè hanno una presenza immensa con loro. Avranno molto piacere che se ci andrete un po’ più avanti, magari con un grembiule ad aiutare in casa perchè ci sono tante cose da fare!
E soprattutto andateci parlando poco: vicino a un neonato si sta zitti, si parla piano , si parla dolcemente. Si lascia parlare lui, dobbiamo imparare noi da lui e non lui da noi! Ci si lascia inondare da quel maestro che è in casa. Ma non subito. Siamo troppo umani noi, per i neonati. Hanno bisogno di silenzio, con la presenza solo di chi è transitato con loro in quel rito che è la nascita.
Se avete qualche domanda mi fa molto piacere, ma anche qualche consiglio per portare avanti questo sogno, che io sento fondamentale per tutte le future generazioni. Grazie.
Trascrizione: Valentina Boni, Roberta Cappi, Claudia Vignudini.
Redazione: Roberto Ferrari.